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Vito Apuleo
L'esperienza visiva che caratterizza l'indagine del nostro tempo continua a praticare relazioni d'og-
getto in continua oscillazione. Vale a dire, un continuo alternarsi di spinte prospettiche che ciclica-
mente passano dall'immaginazione al concetto e viceversa, con momenti di riflessione tesi
a collegare tra loro gli estremi dello spazio concesso alle varianti. Il che accade nell'ambito di una
iterazione di scelta non estranea all'antico dibattito tra fare etico e fare estetico, tra l'impegno mentale
e le problematiche linguistiche, per sottrarre all'abbraccio della natura quel tanto di materia, di silenzi,
di ombre e portarlo all'essenza dell'immagine. Così l'arte, nonostante ogni ipotesi di sua morte o di
nientificazione sovrastrutturante, ostenta le proprie rughe ma si propone in un costante processo di
rigenerazione, modellandosi sulla storia e inseguendo l'utopia del rinnovamento.
Da qui gli attraversamenti, la citazione, il passaggio da una metafisica all'atteggiamento
espressivo di una accidentalità; spontanea, quotidiana, con quella comparsa e scomparsa
dell'oggetto-soggetto proposto nella sua organicità strutturale intesa a superare i limiti di una
definizione di arte assunta come sintesi di un sentimento e di un'immagine. Ne consegue l'esperienza
variegata di un mondo in cui la tradizione platonica ed ermetica coesiste con la magia e la teosofia,
l'esaltazione vitalistica si alterna all'alienazione esistenziale, nella polarità di una ricerca che da un
lato si entusiasma per la nitidezza delle forme da Kandinskij e da Klee. Al centro si collocano
Picasso, de Chirico, Duchamp ed un certo dottor Freud.
Se una simile impostazione può ricordare un manuale di storia dell'arte, è altrettanto vero che il
rinnovarsi delle sollecitazioni linguistiche all'interno di un siffatto percorso si suggerisce come
elemento connettivo capace di approfondimenti nel momento in cui ci si voglia servire di tali strumenti
per la lettura dell'opera di un artista presente nell'attualità. Sicchè sarà richiamandosi a questa
temperie che sarà agevole leggere il frasario di Vincenzo Balsamo, non solo nei riferimenti alle sue
proposte pittoriche dell'oggi ma nei rapporti con le fasi d'indagine che caratterizzano il suo cammino.
Ciò nella convinzione che le scelte di un artista procedono per lenta maturazione e per accrescimenti
per nulla dissociati da quella che è la storia sul cui supporto la visione cresce e matura.
Certo, tanta acqua è passata sotto i ponti dai lontani anni Sessanta quando Balsamo inseguiva
una figurazione tessuta sui modelli di un naturalismo denso di cromie materiche insistite su una
visione legata a lembi di paesaggio giocati sulla pennellata ampia, larga a tache, ispirati ad un
meridione antico pieno di nostalgia. "La raffigurazione dipinta di motivi paesistici naturali" scriveva in
quegli anni Ugo Mannoni a proposito di quella pittura "nei quadri di Vincenzo Balsamo è perfezionata
dalla sofferenza congenita. Non a caso i colori predominanti, il bleu profondo e le varie tonalità del
verde, evocano incubi che è difficile strappare dagli abitacoli dell'istinto. Questi temi base fanno da
sfondo e a volte si impastano con i bianchi arroventati dall'arsura che Balsamo ha portato nel suo
bagaglio quando è saltato su un treno in Puglia. Si amalgamano con i colori che l'artista ha trovato a
Roma: sfilgoranti e impudichi, ibernati dal tempo sui ruderi carichi di edera e di fiori smaglianti". E
senza spingere troppo l'acceleratore dell'elegia, si potrà sottolineare di quella stagione la schiettezza
di una temporalità scandita attraverso la tessitura cromatica che la spaziatura - quando non prevale il
didascalico - incanala in un percorso dove le arginature della sintassi compositiva inseguono la
matassa dei toni forti, a testimoniare la fiducia dell'artista nel dialogo con la natura. Ciò vuoi che si
trattasse di una natura segnata dallo svilupparsi delle zone di pittura lungo la dinamica di un
paesaggio mantano aperto alla luce, vuoi ancora che in essa l'artista identificasse il lento e solenne
inseguirsi delle colline laziali nella dolcezza aspra dei pendii circondati dal silenzio. Si aggiunga lo
spessore della materia aggrumata, talvolta distesa, scritta sul terreno della semplicità, che in quegli
anni attraversavano l'orizzonto della ricerca artstica. Il che privilegiava in lui una conoscenza pratica
dei mezzi della pittura e dei suoi fini espressivi.
A riattraversare però quei paesaggi ci si rende subito conto della particolare angolazione che
alcuni di essi assumono. Si intuisce il gioco dei volumi e delle superfici. Si determina quella dialettica
tra colore e struttura che interconnette la varie sezioni del quadro unite in un alternarsi modale teso a
riprodurre in campiture geometricamente elementari, stratificazioni e sedimentazioni indirizzate a
realizzare la visione attraverso l'infiltrarsi della luce. Da qui, nelle pagine più alte di quella sua
stagione, la necessità di non percepire quei racconti per immagine come aneddoti e di riconoscere
in loro la sigla dellarchetipo, una dimensioneche preannuncia una sorta di determinazione assoluta
anticipatrice delle sue attuali soluzioni.
Per procedimenti accrescitivi sviluppati sull'organizzazione del sefno e del colore sullo spazio
perperimetrale del supporto, Balsamo infatti procede nelle recenti proposizioni all'insegna del
medesimo ordine operativo. Ripete l'ordito formale insistendo sul rapporto dialogico tra segno e
colore. Sottolinea gli interspazi inseguendo però la poetica di una astrazione che coniuga, a suo
modo, qull'integrazione tra natura e geomatria postulata da Kandinskij e da Klee alla quale
accennavo, oltre la più generica lezione delle avanguardie storiche.
Adoperando i mezzi espressivi della pittura con assoluta libertà, l'artista compie una catalogazione di
dati con la precisa funzione di stabilire un contatto privato, prima ancora che estetico, reso dinamico
dalla rapidità degli spostamenti ottico-prospettici, nel desiderio di un rapporto dialettico in cui
l'elemento significativo, cioè l'uomo, continui ad essere presente anche se fisicamente assente. E ciò
ottiene per via di un processo accrescitivo della forma al cui interno, come fluire di un respiro,
l'immagine sfuggente crea singolari sospensive nel cui ambito matura il suo percorso di conoscenza.
Consapevole del mondo interno che deve esprimere e dei materiali esterni con cui lavorare,
Balsamo compie un cammino che gli consente prima di tutto di scrutare in se stesso e di guardare,
poi, anche al passato, nella certezza che solo da un rapporto sincero con queste componenti e della
loro sommatoria possa derivare la spinte generatrice in grado di aprire nuovi orizzonti, senza cadere
nell'abusata citazione o nel revival.
L'avanguardia e la sua volontà innovatrice in tal modo costituiscono il suo passato immediato che
permea una visione non più appagata dal semplice reale e si risolve in una singolare potenzialità
vivificante, capace di dare all'attualità la forza della semplicità, una sensazione di dignità, una
rinnovata tensione che accresce lo spazio espressivo integrandolo con l'esperienza. A questo si
aggiunga una processualità estetica assunta come modello di comportamento che nella scelta della
dimensione astratta - indicata in termini di rinnovamento del linguaggio - riassume il desiderio
dell'artista di comunicare, di adattare il proprio metro linguistico a quelle che possono essere le
occasioni di dialogo che il nostro oggi consente di sperimentare. Senza naturalmente dimenticare il
pensiero di Gombrich quando sostiene che "il significato privato, personale, psicologico del quadro,
sia l'unico significato vero - e sia quindi quello che esso trasmette, se non alla coscienza, almeno
all'inconscio dello spettatore".
Un tale coinvolgimento nello spazio percettivo Balsamo lo privilegia sia sul piano sensoriale che su
quello concettuale, rinunciando semmai a percorrere la via aggiornata della maniera o a ripetere
scelte opzionali riconducibili alle forme della neo-geomatria o dell'astrazione fredda. Ciò a vantaggio
di una ricerca che in linea di principio tende a risolvere il problema del linguaggio sul terreno della
globalità. Vale a dire, un linguaggio che non si accontenta di quel che vede ma mette in relazione le
varie esperienze che ha della realtà riconducendole ad unità attraverso una lettura prismatica
dell'ambiente esterno.
Rivivendo un concetto di durata marginalmente di matrice bergsoniana e praticando le matafore
sempre disponibili alle incertezze vitali care al mondo di Kandinskij, Balsamo dunque definisce la sua
visione sintetizzandola in una percezione multipla e articolata, attenta ad evitare però una eccessiva
frantumazione dell'immagine della rappresentazione.
In una tale ottica si determinano le strutture portanti della sua ricerca che sono: segno, linea,
colore, luce, musicalità. Balsamo applica il metodo della considerazione dei fenomeni attinenti allo
specifico dell'arte come recupero di una tensione creativa pronta a cercare radici e funzioni dentro i
cumuli di spunti che l'esperienza dell'arte stessa offre, non per mero citazionismo ma per confermare
un principio di vitalità. La capacità cioè di scoprire il valore simbolico delle forme in movimento da
organizzare entro spazi ora fissi, ora ancora variabili in combinazioni diverse, alternandone
dimensione e rapporti. Il che accade per quell'ottimismo che nonostante la sua antica rabbia ("c'è una
specie di rancore, nei quadri di Balsamo", scriveva Ugo Mannoni a proposito della produzione
dell'artista negli anni Sessanta) continua a suggerirsi nel suo linguaggio. Balsamo crede nella pittura.
Ha la necessità di sentirsi partecipe di un qualcosa che abbia una finalità. Sente la nostalgia per una
Weltanschauung, per una visione del mondo che sottolinei il distacco della sterile dispersione. Non
oppone al nichilismo del secolo un altrettanto nichilistico distacco. Da qui la scelta di un osservatore
che assuma il linguaggio dell'arte come profonda necessità interiore vada oltre una monotona
ripetizione di schemi elementari e superando il cosidetto pensiero debole, gli consenta di trovare una
bussola ideale che lo aiuti a distrcarsi tra le mille opzioni che la nostra civiltà delle immagini
quotidianamente gli offre. Scelta che egli pratica tentando di rintracciare i possibili nodi dell'intreccio
che lega le diverse esperienze delle avanguardie, non per determinare una rete di rapporti ma per
individuare alcuni itinerari del possibile per mezzo dei quali risalire la china della precarietà
alla ricerca di sensi aspiranti all'attualità.
Ecco allora queste sue recenti composizioni che da un lato praticano le sottili tarsie della pittura e
dall'altro attraversano le vie di una astrazione geomatrica che crea incastri, spazi elicoidali, volumi
giocati sui mutamenti sia psicologici che ambientali. Ne deriva un percorso del costruire che
evidenzia trame e tessuti dai quali il segno emerge sicuro, organizzandosi a scontornare lo spazio
quando non lo taglia diagonalmente, in un procedere complesso concepito come visione dinamica
dalle cui risultanze emerge un processo aggregante capace di congiungere e portare a soluzione la
figura e l'icona. Significativamente poi, mentre le indicazioni tendono a specificarsi in direzione visiva
richiamando festose gamme di colore, la luce si stende sui modelli così strutturati, li avvolge nello
spazio prospettivo, evoca spezzoni di natura aperti ad accattivanti percorsi.
All'insegna di una astrazione lirica il dettato visivo di Balsamo esercita tutta la propria capacità
espressiva di variare sottilmente di quadro in quadro, con un rigoroso controllo sulla tessitura
cromatica e inseguendo un punto di tensione dove non esiste più orizzontale e verticale, natura e
storia, ma un tracciato di segni che organozzati su un ideale pentagramma, scrivono una precisa
partitura dove gli archi indubbiamente sovrastano gli ottoni. In tal modo si ripristina quella capacità di
comunicazione che consente un approccio più schietto a questa pittura, sottraendola all'aspetto
elitario che la lettura affrettata potrebbe suggerire.
La realizzazione di una tracciato labirintico e ambiguo si propone contemporaneamente come
variante nel progetto operativo di Balsamo. E scrivo progetto per sottolineare proprio la componente
progettuale che sottende le sue scelte, nell'ambito di una condizione fatta di meditati accadimenti che
nel tessuto pittorico trovano la loro potenziale verificabilità.
Non è casuale, infatti, l'esaltazione del colore che caratterizza la nuova stagione dell'artista. Un
colore fitto nella pennellata retinata, pulsante nella cadenza, all'insegna di un processo che definirei
artigianale (nel senso etimologico del termine: ars, artifex, fatto ad arte), nel desiderio di affermare lo
statuto della pittura ed inseguire affascinanti artificiosità. Quelle artificiosità tipiche dello
sperimentatore di cui egli cerca di rendere con maggiore evidenza possibili i presupposti teorici,
impostando un discorso sia sulla comunicazione visiva, sia sulla rifrazione cromatica-luministica. E
questo non per via dei processi assiomatici ma affidandosi all'intelligenza di una esposizione che ai
limiti della poetica del frammento, via via espande la campitura, accorpa i frammenti stessi e li porta
a sintetica unità legandoli ad una linea sottile che li sfiora e li cattura.
Si afferma allora una profonda meditazione sulla pittura che supera lo stato d'animo (pur sempre
latente nella visione di Balsamo) e conduce al pensiero di Klee. "Il fondamento logico della
concezione figurativa è determinato dalla superficie del quadro e segue proprie e specifiche vie",
scriveva infatti Klee, e ancora; "l'arte figurativa non prende mai le mosse da uno stato d'animo o da
un'idea poetica, bensì dalla costruzione di una o due figure, dall'accordo di alcuni colori o valori
tonali...".
Klee dunque e con lui Kandinskij, Mirò in qualche misura. Fonti legittime alle quali Balsamo guarda
non per un pedìssequo riattraversamento ma per l'approfondimento di quell'educazione formale nella
quale egli crede fermamente, ostinato come egli è nella ricerca di un linguaggio che aderisca il più
pacatamente possibile alle potenzialità espressive che la sua voglia di comunicare prepotentemente
fa emergere.
Questo insieme di sintomi, queste sicurezze, questa visione del mondo confluiscono poi nel
processo di costante evoluzione che qualifica la sua ricerca dove il segno scrive una storia di
attraversamenti, sottile, sinuoso, fragile, mimando il volo della farfalla, il capriccio della nuvola, il filo
che la mano del bambino regge trepidante seguendo con lo sguardo le evoluzione dell'aquilone
policromo. Un filo che sembra stare lì lì per spezzarsi, per subito dopo mostrarsi robusto, teso, pronto
a creare altri e interscambibili percorsi nonché a sfidare la trappola del tempo. Il che conferma il
coraggio che accompagna l'esperienza di Balsamo nell'ottica di una ricerca affrontata con
spontaneità e naturalezza: una sorta di bagno purificatore per dare nuova magia ai toni e ai volumi.
La pagina realizzata per via di un tale processo significante si anima di linee, di punti, di modulazioni,
di ondulazioni che sono poi le stesse ondulazioni che il vento provoca soffiando sull'erba alta dei prati,
il tracciato di colore che l'arcobaleno scrive nell'aria, la eco di un grappolo di note musicali cui
contemporaneamente corrisponde una costruzione mentale che si vorrebbe dire matematica. Il che
non esclude il gusto per il gioco elegente che affida brevi frammenti di prosa ad una linea melodica
sottolineata da squillanti "a solo".
Una tale marcia verso l'elaborazione e il complesso coordinamento dei suoni, portano Balsamo
all'aggregazione delle spaziature con un delicato gioco di incastri praticato tra il collage e il puzzle
che ripetendo suggestivi moduli geometrici in continua evoluzione do moto, crea geografie
immaginarie e ariose sollecitazioni della memoria, con interspazi lineari di riposo che eliminano il
contrasto di forme dissonanti e fanno da perno alla dinamica della composizione.
Centripite e centrifughe le componenti dell'immagine si aggregano come frammenti di cristallo e
vanno a motivare una singolare tarsia che la suggestione del colore rende vivace, creando effetti che
sembrano gli stessi che la luce provoca sui vetri di una finestra. Non la luce del rosone gotico, solenne
ed evocativa che squarcia i sesti acuti delle cattedrali piene di ombre e di mistero, ma luce gioiosa
della finestra che si affaccia sulla campagna o sul mare o forse ancora sulla dolce malinconia di una
piazza al tramonto da cui spazi si levino i suoni e i colori di una giostra.
È a questa fantasia sottile e preziosa che Balsamo affida il proprio concetto di fare pittura. Una
pittura che non è di gesto ma risultato di una pratica tesa ad imprimere con dolcezza la sensazione
del tempo cui si aggiunge, come accennavo, anche una naturale componente progettuale sviluppata
a tempi lunghi, nello stratificarsi del colore che gradualmente conquista la pagina, al modula a proprio
piacere, si sedimenta sino a dominarne gli esiti e trasformare in riflessione quella che potrebbe
apparire come la suggestione emotiva dell'artista. Il tutto nel desiderio di scoprire con animo sincero
il fascino delle potenzialità materiali e spirituali di un mondo che solo le eccitazioni della fantasia
possono consentire di estrapolare dalla piatta banalità del quotidiano.
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